Elena Melli e l’attentato del teatro Diana


Il 12 luglio 1920 viene processata, a Milano, l’Anarchica Elena Melli (nata a Lucca il 4 luglio 1889) con l’accusa di “essere stata attiva incitatrice ad azioni violente e desiderosa di strage”, e di aver scritto al suo compagno, Giuseppe Mariani, lettere del tenore di quella che riproduciamo: “Il mio pensiero si ferma su questa società putrida che sta per tramontare. Questa società è una cloaca. Noi combattiamo per la libertà dei popoli e morremo insieme sulle barricate se sarà necessario. Penso, se riusciremo a fare ciò che pensiamo da qualche giorno, se tutto andrà bene, noi saremo felici! Dopo la lotta aspra, che ingaggeremo con la società, versando quanto più sangue borghese e poliziotto sarà possibile per redimere il mondo…”. In udienza riafferma la sua fede Anarchica senza tentennamenti: “Anarchici si nasce, non si diventa”, risponde seccamente al presidente del tribunale. Rimessa in libertà, collabora alla preparazione di un attentato contro il questore di Milano, giovanni gasti, ideato per protestare contro la perdurante detenzione di Errico Malatesta e di altri esponenti del movimento Anarchico. Elena Melli lega la sua esistenza a quella di Errico Malatesta e lo segue a Roma, dove l’anziano esponente Anarchico vivrà praticamente agli arresti domiciliari, dopo l’approvazione delle leggi eccezionali (novembre 1926). Sistematicamente sorvegliata, viene arrestata il 22 aprile 1928 e assegnata al confino per cinque anni.

Elena Melli

Anarcopedia scrive:” Il processo contro MarianiBoldriniAguggini e altri quattordici anarchici iniziò a Milano il 9 maggio 1922 alla Corte di Assise di piazza Fontana. Le accuse riguardavano la strage del teatro Diana, la collocazione della bomba alla centrale elettrica di via Gladio, il mancato attentato all’Avanti (quello che avrebbe dovuto compiere Pietropaolo) ed altre esplosioni avvenute l’anno prima.

Il processo durò 23 giorni, al termine del quale, il 1° giugno, fu emessa la sentenza: gli esecutori materiali MarianiBoldrini ed Aguggini ricevettero una condanna all’ergastolo (i primi due) e a trent’anni (Aguggini); e per gli altri (molti dei quali erano in realtà  innocenti) ci furono pene varianti tra i 15 giorni e i quattro anni di carcere.

Molti antifascisti ipotizzarono che il gruppo anarchico-individualista era stato manovrato dalla polizia, giacché quell’attentato favorì l’ascesa del fascismo. L’anarchico Gigi Damiani scrive nella prefazione dell’autobiografia di Mariani:

«Fu la polizia a condurre per mano gli esacerbati terroristi fino davanti alle griglie del teatro Diana».

I sospetti nacquero anche dal fatto che Elena Melli, la donna che avrebbe partecipato alla fase progettuale dell’attentato, non comparve fra gli imputati e una volta fuggita in SudAmerica di lei non si seppe mai nulla. Mariani però non fu mai convinto che il gruppo fosse infiltrato ed orientato così dalla polizia a compiere un attentato che favorì il nascente regime fascista:

«Non ho mai pensato, come sempre hanno fatto alcuni miei compagni, in base ad elementi che mi hanno detto positivi, fino a credere possibile una revisione del processo, d’incolpare qualcuno che vicino a noi sapesse manovraci tanto bene da farci credere che avremmo colpito il questore e altre personalità  e che invece ci facevano colpire delle povere persone innocenti intente solo a divertirsi»[

Malatesta, che il 25 marzo 1921 era stato finalmente processato insieme a Borghi e Quaglino (oltre ad altre decine di imputati)  sempre condannò risolutamente il gesto ma mai gli autori, che anzi definì «compagni nostri, buoni compagni nostri, pronti sempre al sacrificio per il bene degli altri»; gente che «nel compiere il loro tragico ed infausto gesto intendevano fare opera di sacrificio e di devozione.».

«Quegli uomini hanno ucciso e straziato degli incolpevoli in nome della nostra idea, in nome del nostro e del loro sogno d’amore. I dinamitardi del “Diana” furono travolti da una nobile passione, ed ogni uomo dovrebbe arrestarsi innanzi a loro pensando alle devastazioni che una passione, anche sublime, può produrre nel cervello umano (…)»

 

 

Ricoverata coercitivamente in una clinica psichiatrica di Roma nella seconda metà del 1937, a causa di una crisi di nervi avuta nella questura, Melli sembra essere una delle prime vittime della repressione politica, praticata mediante l’uso del manicomio. Immediatamente dopo la Liberazione si trasferisce a Carrara, dove i compagni della FAI l’assistono e la sostengono fino alla fine. Muore all’ospedale di Carrara il 26 febbraio 1946.

La Fiaccola dell’Anarchia

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